Elisa Pozzi è figlia d’arte. I nonni producevano latte esclusivamente per l’industria. E’ lei a tenere le redini del caseificio agricolo Zipo, che sorge in un vecchio complesso cascinale del 1300 ristrutturato nel corso dei secoli nel cuore del parco agricolo sud. Al centro della cascina c’è un importante edificio dal valore storico: una casa di caccia edificata dai Pusterla nel 1400, una perla di architettura tardo gotica. Attorno alla cascina si estendono i campi coltivati a riso, terreni coltivati a cereali e foraggio per l’alimentazione delle vacche al pascolo e un piccolo “boschetto” con lago artificiale dove sono presenti alcune piante acquatiche.
«Oggi i capi sono meno, cosa che si traduce in animali più sani e più felici» ama ripetere Elisa. Il risultato di questa felicità si assaggia nei formaggi freschi, stagionati, nello yogurt. Lo zipolizia è il preferito di Elisa. “Il formaggio che ti delizia” come dice lo slogan che lo pubblicizza. La zipotta invece cambia a seconda delle stagioni, che influenzano il latte. La latteria è un formaggio che stagiona di più, i “fiocchi di Latte”, dolci e delicati. Lo yogurt non omogenizzato assomiglia a un budino. Poi c’è il riso, coltivato sul posto e pilato con una macchina d’epoca senza uso di sbiancanti. DBA 100% Carnaroli.

Tutto avviene in azienda, anche la vendita, così da poter ammirare gli animali e i cicli della produzione. Ciò che non viene venduto lì è destinato ai mercati della città, primo tra tutti il Mercato della Terra. Infine c’è l’online e i GAS (gruppi di acquisto solidale). «Non è solo un lavoro di commercio, ma cerchiamo di portare la storia della nostra famiglia e il nostro stile di vita nella materia prima». La vita di campagna è frenetica e scandita dal sorgere e il tramontare del sole. «Tutti i giorni si rompe qualcosa, quindi c’è sempre da rimediare. Lavoriamo il latte ancora caldo grazie alla vicinanza tra stalla e caseificio» Poi in tarda mattinata si fa il confezionamento e la logistica. Il riso carnaroli è DNA certificato. Insomma carnaroli al 100%.
Dalla stalla si ode il muggito delle frisone italiane incrociate con frisone canadesi. Lì troviamo anche la varzese in via d’estinzione, presidio Slow Food. « E’ un animale più duro da domare, più selvatico ». Ci tiene a precisare Elisa. « Le varzesi sono piccole e tozze, animali con una triplice attitudine: venivano utilizzate per il lavoro, per il latte e per la carne ». Quello che stanno facendo è cercare di riportare la razza all’origine, sostenendo la salvaguardia della biodiversità. L’inseminazione è naturale, affidata a un toro da rimonta. Una scelta che diventa maggiore salute dei vitelli e della materia prima che ne deriverà.

Anche qui il clima piovoso ha costretto i ragazzi di Zipo ai cambiamenti. Appena fuori Milano, Zibido San Giacomo è rimasta molto votata all’agricoltura e il mantenimento del polmone verde è per Elisa e gli altri un po’ come una missione. «Uscire da una metropoli e ritrovarti in un luogo così è una cosa preziosa, da salvare».